sabato 10 ottobre 2020

Castel Drena

Poco a nord di Riva del Garda, superata anche la città di Arco e l'abitato di Dro, sorge un suggestivo castello medievale che prende il nome dal comune sul cui territorio insiste: Castel Drena. 
Alto sulla profonda gola del Rio Salagòni, era posto a vedetta della strada che collegava la piana del Sarca con la Valle di Cavedine e in collegamento (tramite segnalazioni ottiche) con il Castello di Arco a sud e con quello vicino di Madruzzo a nord.
Cominciando a salire, in compagnia di mia figlia, sulla strada che porta da Dro a Drena, si staglia contro il cielo una compatta muraglia dalla quale svetta agile e isolata la torre del mastio.
Dal parcheggio che fiancheggia la strada provinciale 84 abbiamo, invece, una visuale dei danni subiti dal maniero durante la guerra di successione spagnola di cui scriverò in seguito.
Saliamo al castello percorrendo una suggestiva strada selciata fino alla torre di guardia  terza porta del XVI Sec. oltre la quale si accede alla struttura difensiva attraversando la cinta muraria ghibellina.
Il castello, a cui vengono erroneamente attribuite origini romane (Arx Dianae, Arx Dedria), è menzionato per la prima volta nel 1175 in occasione della sua vendita ai Signori di Arco da parte dei Signori di Sejano.
Posto su un originario castelliere comunitario dell'età del bronzo, è precursore dellla successiva diffusione del fenomeno castellano con funzioni di difesa e amministrazione della giustizia.
Tra rocce affioranti dal suolo, accediamo alla corte d'arme seconda porta.
A sinistra tracce della torre angolare prima porta (XV Sec.) mentre poco oltre le scuderie e i magazzini del XVI Sec. Suggestivi i resti del quattrocentesco Palazzo Comitale.
Ancora possiamo vedere i resti della cisterna con una volta a botte in pietra e una casa murata del XII-XIII Sec.
Le tracce di una piccola chiesa dedicata a San Martino (culto seguito all'espansione dei franchi) documentano un'attiva frequentazione già in epoca carolingia (IX-X sec.). Un'area cimiteriale cingeva all'esterno questa prima costruzione in muratura sorta sulla collina; poi l'impianto venne modificato con la feudalizzazione della zona.
Al centro l'imponente mastio (25 m.) in pietra bugnata risalente al XII Sec.
Caratteristica la sua fattura: pochissime le aperture, costituite principalmente da feritoie e da strette porte alte dal suolo, probabili collegamenti con edifici adiacenti. Quattro finestre ne segnano la sommità fatta di massicci merli ghibellini anch'essi, raggiungibili attraverso scale e cunicoli. Nello spessore del muro (1,5 m.) trovano posto alcune sedute che ne fanno presupporre un suo utilizzo quale abitazione in caso di assedio. Saliamo sulla cima del mastio attraverso scale prima di legno
e poi in pietra (attenzione alla testa nell'ultimo tratto); 
alla sommità, attraverso i merli ghibellini
si gode uno splendido panorama sulla vallata del Basso Sarca, dove le colture e il clima alpino ben si fondono in quelle più tipicamente mediterranee mentre a nord lo sguardo spazia sulla Valle di Cavedine.
Visibile, inoltre, la strada che abbiamo percorso per giungere al fortilizio
che sale attraversando il suggestivo deserto delle Marocche, risultato di un fenomeno glaciale che ha portato alla formazione di una distesa di macigni calcarei di oltre 187 milioni di metri cubi di volume. 
Dalla parte opposta il pacifico paese di Drena.
Anche in questo castello le truppe del Generale Vendòme saccheggiarono ed incendiarono la ricca parte residenziale quattrocentesca (1703). Da allora fu abbandonato fino al suo acquisto, assieme alla collina, da parte del comune di Drena, nel 1983.
Recenti lavori di restauro, promossi dalla Provincia Autonoma di Trento, hanno ridato luce, storia ed emozioni all'antico maniero.
Purtroppo nel giugno del 2018, venti metri del muro di cinta sono crollati senza provocare danni alle persone.
Attualmente è sede di un museo archeologico. Una suggestiva lizza, che ne fiancheggia un lato, si offre quale ambito palcoscenico per rappresentazioni e momenti culturali.
Il castello è visitabile da marzo a ottobre, dal martedì alla domenica dalle 10 alle 18; negli altri mesi è aperto solo sabato e domenica dalle 10 alle 17 al costo di 4 Euro (ridotto 3 Euro). Il mese di gennaio rimane chiuso.
Un caro saluto!

venerdì 29 maggio 2020

Il Castello di Arco

Poco a nord di Riva del Garda, adagiata nella piana del Sarca, sorge l'amena città di Arco. Questa raffinata località è un classico posto dove passare le vacanze per la dolcezza del clima mediterraneo (influenzato dal vicino Garda) e la generosità della natura circostante. Quello che attira immediatamente l'attenzione quando ci si avvicina ad Arco da Sud è il suo castello che sorge su un vero e proprio alto scoglio roccioso visibile da lontano.
Lascio l'auto in un parcheggio cittadino e mi godo dal basso la vista della rocca che incombe sull'intero abitato e che sarà la meta di questa mia visita.
Seguendo le indicazioni, arrivo in Via Segantini, ai piedi dello sperone roccioso e imbocco un sentiero che con scalini acciottolati guadagna rapidamente quota. Tra gli ulivi, la macchia mediterranea e qualche punto di sosta comincio ad intuire il panorama che sarà possibile godere da lassù. 
Questa zona, denominata costa, è di sicuro interesse per il sistema a terrazzamenti delimitati da muri a secco che la caratterizza e per la presenza di essenze che difficilmente si trovano a queste latitudini come corbezzoli, agavi, ginestre e i già citati ulivi del Garda.
Interessante e travagliata la storia del nostro castello.
Questo luogo era abitato fin dal 300 a.C. ma le prime notizie sulle fortificazione del sito risalgono all'anno Mille; il primo documento scritto sul castello risale invece al 1196 quando Federico d'Arco dichiara il castello come proprietà legittima degli abitanti del borgo sottostante. Il fortilizio rimarrà per lungo tempo sotto l'influenza dei d'Arco. Nel corso della sua storia il castello fu più volte assediato da alcuni signori locali (Seiano, Lodron) e dalla Serenissima che riuscirono a conquistare il borgo ma non il maniero che rimase inviolato in questa tumultuosa fase della sua storia.
Nel 1495 il pittore tedesco Albrecht Durer ritrasse il castello in un acquerello ora conservato al Louvre di Parigi. 
Si può osservare che castello e borgo sottostante formavano un unico sistema difensivo.
Nel 1579 Ferdinando II Arciduca del Tirolo collocò i suoi capitani nel castello di Arco e nel vicino Castel Penede a Nago. Trentacinque anni dopo il nostro castello tornò sotto l'influenza dei Conti d'Arco.
Nel 1703, a causa della guerra di successione al trono di Spagna, le truppe francesi del Generale Vendòme misero sotto assedio il castello e, dopo un intenso bombardamento, costrinsero alla resa la guarnigione che lo difendeva. 
Termina qui la storia bellica del castello.
Le rovine diventarono cava per gli abitanti del paese sottostante che traevano materiale per la riparazione degli edifici danneggiati dalle artiglierie francesi. 
Nonostante la rovina, il maniero rimase proprietà dei Conti d'Arco fino al 1982 quando il comune di Arco lo acquistò.
Nel 1986 furono avviati lavori di restauro dalla Provincia di Trento e in seguito il sito fu portato alla fruizione dei numerosi visitatori.
Dopo aver superato la costa con un dislivello di circa 120 metri, mi trovo ad attraversare l'antica e angusta porta di ingresso che consentiva l'agevole controllo di chi vi accedeva; da qui sono al cospetto del primo bastione difensivo e della zona che ospitava i giardini e gli orti che davano autosufficienza al castello in caso di assedio;
questa zona, chiamata Prato della Lizza è un formidabile balcone che consente una splendida vista di oltre 180 gradi verso mezzogiorno con la verde valle attraversata dal nastro liquido del Sarca che termina la corsa nell'azzurro scintillante del Garda. 
Panchine strategicamente posizionate permettono di godere di questo spettacolo in tutta pace e sernità.
A sovrastare il Prato della Lizza, si ammira la duecentesca mole merlata della Torre Grande con le sue tre pareti superstiti alte venti metri;
ai suoi piedi, come testimoniano i ruderi presenti, si sviluppava l'area destinata ad accogliere la popolazione in caso di emergenza ma anche officine, forni, cisterne e una piccola chiesa.
Proseguendo sul percorso, nella roccia ai piedi della Torre Grande ci imbattiamo nella prigione del Sasso che, in origine, era una costruzione più articolata,
vi fu imprigionato lungamente il Conte Galeazzo d'Arco dal fratello Francesco;
tra le mura del castello si trovava quindi una sorta di tribunale e il sistema carcerario. Il castello era di fatto una vera città autosufficiente nella città.
Alle spalle della Torre Grande, sorgono i resti della Torre della Stua il cui ingresso, ostruito da materiali di crollo, venne liberato con i già citati lavori di restauro del 1986; all'interno di un suo vano, la cosiddetta sala dei giochi, venne rinvenuto uno splendido ciclo di affreschi profani del Trecento che raffigurano scene di vita cortese testimoniando la raffinatezza della corte dei signori di Arco.
Nei pressi c'è un centro multimediale dove è possibile visionare un documentario su questo ritrovamento.
Per mezzo di una scala in metallo e legno si sale ancora.
Giro attorno alla Torre Grande per osservare il lato crollato
e il panorama sempre più ampio.
In cima si trova l'ultimo rifugio in caso di assedio.
La Torre Renghera che con la sua campana denominata Renga dava l'allarme.
E' la torre più antica con unico ingresso che si apriva a 7 metri di altezza cui si accedeva con scala in legno che veniva ritirata in caso di assedio. Da qui si gode il panorama migliore con lo sguardo che si spinge dalla Paganella
al Garda con il Monte Brione che separa Riva del Garda da Torbole.
Un sentiero mi porta fuori dal muro del rivellino; mi inoltro nella boscaglia di lecci e scendo lungo il ciglio della rupe fino alla Torre di Guarda verso Laghel,
estremo baluardo occidentale del castello dalle cui tre finestre la guarnigione di soldati poteva controllare agevolmente le tre direttrici viarie che portavano al castello.
Ho praticamente concluso il giro di questo affascinate maniero. Un sentiero mi conduce al Prato della Lizza e da li scendo al centro di Arco dove, prima di riprendere l'auto, volgo un ultimo sguardo di ammirazione a questa meraviglia.
Un caro saluto.

lunedì 20 aprile 2020

Il castello di Pieve di Cadore


A Pieve di Cadore, su una altura che domina l'abitato, posta alla confluenza del Boite che si immette nel Piave, sorgeva nei tempi passati un castello medievale sicuramente suggestivo. 
Il sito probabilmente era frequentato sin dall'antichità come luogo sacro pagano. 
Non si hanno notizie sull'epoca della sua costruzione; Il Dott. Jacopi ipotizza che esistesse già nel 900 in funzione difensiva contro le incursioni degli Ungari mentre il primo riferimento scritto lo troviamo nel 1483 a cura di Marin Sanudo che lo cita nel suo "itinerario". Nello stesso periodo diviene sede del Capitano della Serenissima.
Verso Pieve era inaccessibile per gli strapiombi mentre il resto della struttura era protetto da robuste mura a scarpa che lo rendevano inespugnabile fino all'invenzione delle prime artiglierie che potevano superare le sue difese sia da Monte Ricco che dalle alture sovrastanti Pieve.
L'ingresso era orientato verso occidente sovrastato da una torre su cui campeggiava il Leone Veneto.
Questa torre con quella del castello di Botestagno della valle d'Ampezzo, fregia lo stemma del Cadore.
Tra le mura trovavano sistemazione le prigioni con quattro celle per rinchiudervi i pochi banditi cadorini, un pozzo, la cancelleria, gli alloggi del Capitano, la caserma per i soldati, l'armeria e la Santa Barbara, il forno, il magazzino viveri e la cappella di Santa Caterina (due pale ed una statua sono oggi conservati nella parrocchia di Pieve). Al centro insisteva un'ampia piazza d'armi. 
Dal 1493 al 1516 il Cadore attraversò un periodo di guerra, saccheggi e devastazioni ad opera soprattutto delle truppe imperiali dell'Imperatore Massimiliano d'Asburgo impiegato ad arrestare l'ascesa di Venezia nella guerra della Lega di Cambrai; Pieve e il suo castello non ne uscirono immuni. In particolare, il maniero nell'inverno del 1508 fu occupato da un reparto imperiale comandato dal tirolese Sisto Von Trautson e immediatamente dopo (il 2 marzo dello stesso anno) fu riconquistato dai Veneziani e Cadorini, alla guida di Bartolomeo d'Alviano, dopo la Battaglia di Rusecco, conosciuta anche come la Battaglia del Cadore. Nel dicembre del 1511 cedette nuovamente agli imperiali guidati dal maresciallo Regendorf per poi ritornare subito dopo sotto il controllo di Venezia.
E' restaurato più volte: nel 1547, nel 1565 e, a seguito di un incendio, fu ricostruito nel 1656.
Con la decadenza della Serenissima, il castello subisce la stessa sorte. Era abitato saltuariamente dal Capitano che, a causa del suo alloggio inagibile, si era trasferito a Pieve ed era presidiato da una guarnigione di soldati sempre più ridotta. Tuttavia, nel 1797, alla venuta dei Francesi, il castello disponeva ancora di parecchie armi e cannoni. Col trascorrere del tempo il maniero fu depredato. 
Addirittura le sue pietre furono usate per la costruzione della chiesa di Pieve e nel 1882 le autorità militari italiane impiegarono quello che era rimasto per la costruzione della Batteria Castello destinata ad ospitare le artiglierie mai entrate in funzione.
Nel Museo Archeologico Cadorino esiste un plastico che riproduce il castello e che rende bene l'idea di quello che era l'austero fortilizio.

Oggi il sito non conserva alcuna traccia della costruzione medievale; si possono soltanto intuire le ragioni che hanno portato gli antichi costruttori a scegliere questo colle per l'edificazione della struttura difensiva che domina i territori sottostanti e le vie di comunicazione.
Un caro saluto.

Riferimenti:
Giovanni Fabbiani - Breve storia del Cadore - Magnifica Comunità di Cadore Edit.; 4^ ed. (1977);
Archivio Digitale Cadorino.