venerdì 29 maggio 2020

Il Castello di Arco

Poco a nord di Riva del Garda, adagiata nella piana del Sarca, sorge l'amena città di Arco. Questa raffinata località è un classico posto dove passare le vacanze per la dolcezza del clima mediterraneo (influenzato dal vicino Garda) e la generosità della natura circostante. Quello che attira immediatamente l'attenzione quando ci si avvicina ad Arco da Sud è il suo castello che sorge su un vero e proprio alto scoglio roccioso visibile da lontano.
Lascio l'auto in un parcheggio cittadino e mi godo dal basso la vista della rocca che incombe sull'intero abitato e che sarà la meta di questa mia visita.
Seguendo le indicazioni, arrivo in Via Segantini, ai piedi dello sperone roccioso e imbocco un sentiero che con scalini acciottolati guadagna rapidamente quota. Tra gli ulivi, la macchia mediterranea e qualche punto di sosta comincio ad intuire il panorama che sarà possibile godere da lassù. 
Questa zona, denominata costa, è di sicuro interesse per il sistema a terrazzamenti delimitati da muri a secco che la caratterizza e per la presenza di essenze che difficilmente si trovano a queste latitudini come corbezzoli, agavi, ginestre e i già citati ulivi del Garda.
Interessante e travagliata la storia del nostro castello.
Questo luogo era abitato fin dal 300 a.C. ma le prime notizie sulle fortificazione del sito risalgono all'anno Mille; il primo documento scritto sul castello risale invece al 1196 quando Federico d'Arco dichiara il castello come proprietà legittima degli abitanti del borgo sottostante. Il fortilizio rimarrà per lungo tempo sotto l'influenza dei d'Arco. Nel corso della sua storia il castello fu più volte assediato da alcuni signori locali (Seiano, Lodron) e dalla Serenissima che riuscirono a conquistare il borgo ma non il maniero che rimase inviolato in questa tumultuosa fase della sua storia.
Nel 1495 il pittore tedesco Albrecht Durer ritrasse il castello in un acquerello ora conservato al Louvre di Parigi. 
Si può osservare che castello e borgo sottostante formavano un unico sistema difensivo.
Nel 1579 Ferdinando II Arciduca del Tirolo collocò i suoi capitani nel castello di Arco e nel vicino Castel Penede a Nago. Trentacinque anni dopo il nostro castello tornò sotto l'influenza dei Conti d'Arco.
Nel 1703, a causa della guerra di successione al trono di Spagna, le truppe francesi del Generale Vendòme misero sotto assedio il castello e, dopo un intenso bombardamento, costrinsero alla resa la guarnigione che lo difendeva. 
Termina qui la storia bellica del castello.
Le rovine diventarono cava per gli abitanti del paese sottostante che traevano materiale per la riparazione degli edifici danneggiati dalle artiglierie francesi. 
Nonostante la rovina, il maniero rimase proprietà dei Conti d'Arco fino al 1982 quando il comune di Arco lo acquistò.
Nel 1986 furono avviati lavori di restauro dalla Provincia di Trento e in seguito il sito fu portato alla fruizione dei numerosi visitatori.
Dopo aver superato la costa con un dislivello di circa 120 metri, mi trovo ad attraversare l'antica e angusta porta di ingresso che consentiva l'agevole controllo di chi vi accedeva; da qui sono al cospetto del primo bastione difensivo e della zona che ospitava i giardini e gli orti che davano autosufficienza al castello in caso di assedio;
questa zona, chiamata Prato della Lizza è un formidabile balcone che consente una splendida vista di oltre 180 gradi verso mezzogiorno con la verde valle attraversata dal nastro liquido del Sarca che termina la corsa nell'azzurro scintillante del Garda. 
Panchine strategicamente posizionate permettono di godere di questo spettacolo in tutta pace e sernità.
A sovrastare il Prato della Lizza, si ammira la duecentesca mole merlata della Torre Grande con le sue tre pareti superstiti alte venti metri;
ai suoi piedi, come testimoniano i ruderi presenti, si sviluppava l'area destinata ad accogliere la popolazione in caso di emergenza ma anche officine, forni, cisterne e una piccola chiesa.
Proseguendo sul percorso, nella roccia ai piedi della Torre Grande ci imbattiamo nella prigione del Sasso che, in origine, era una costruzione più articolata,
vi fu imprigionato lungamente il Conte Galeazzo d'Arco dal fratello Francesco;
tra le mura del castello si trovava quindi una sorta di tribunale e il sistema carcerario. Il castello era di fatto una vera città autosufficiente nella città.
Alle spalle della Torre Grande, sorgono i resti della Torre della Stua il cui ingresso, ostruito da materiali di crollo, venne liberato con i già citati lavori di restauro del 1986; all'interno di un suo vano, la cosiddetta sala dei giochi, venne rinvenuto uno splendido ciclo di affreschi profani del Trecento che raffigurano scene di vita cortese testimoniando la raffinatezza della corte dei signori di Arco.
Nei pressi c'è un centro multimediale dove è possibile visionare un documentario su questo ritrovamento.
Per mezzo di una scala in metallo e legno si sale ancora.
Giro attorno alla Torre Grande per osservare il lato crollato
e il panorama sempre più ampio.
In cima si trova l'ultimo rifugio in caso di assedio.
La Torre Renghera che con la sua campana denominata Renga dava l'allarme.
E' la torre più antica con unico ingresso che si apriva a 7 metri di altezza cui si accedeva con scala in legno che veniva ritirata in caso di assedio. Da qui si gode il panorama migliore con lo sguardo che si spinge dalla Paganella
al Garda con il Monte Brione che separa Riva del Garda da Torbole.
Un sentiero mi porta fuori dal muro del rivellino; mi inoltro nella boscaglia di lecci e scendo lungo il ciglio della rupe fino alla Torre di Guarda verso Laghel,
estremo baluardo occidentale del castello dalle cui tre finestre la guarnigione di soldati poteva controllare agevolmente le tre direttrici viarie che portavano al castello.
Ho praticamente concluso il giro di questo affascinate maniero. Un sentiero mi conduce al Prato della Lizza e da li scendo al centro di Arco dove, prima di riprendere l'auto, volgo un ultimo sguardo di ammirazione a questa meraviglia.
Un caro saluto.